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«La storia insegna?»

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Quando un settore è maturo, il prodotto è standardizzato e il mercato fissa il prezzo. Sono solo due aspetti ricorrenti, ma certo sono tra quelli che caratterizzano molti business, tra cui quello siderurgico, almeno nella generalità dei casi. Una risposta naturale alla pressione della concorrenza è quella di crescere: maggiore capacità produttiva significa economie di scala, e quindi costi unitari in discesa. Poiché il prezzo è “dato”, questa è la strada per ricreare la forbice costi/ricavi. Producendo di più, ogni tonnellata costa meno perché i costi fissi unitari si riducono. Se, però, non si è in grado di sfruttare appieno la capacità installata – e di vendere tutto l’acciaio prodotto – le economie rimangono sulla carta e l’azienda soffre costi finanziari aggiuntivi, dovuti a  magazzino e aggiornamento impiantistico. I produttori che operano su mercati in espansione hanno maggiori possibilità di rispettare il vincolo di pieno impiego della capacità e possono quindi investire ed aggiornare, mentre chi opera su mercati fortemente industrializzati non può contare su un’espansione della Domanda, e cerca, con sacrifici sul prezzo, di rubare quota ai concorrenti. Se, però, la corsa alle dimensioni crescenti è comune a tutti o quasi, si innesca una spirale pericolosa perché la mossa dello sconto diventa generalizzata ed è, quindi, sempre meno efficace nel garantire pieno sfruttamento della capacità. Il nostro è, a tutti gli effetti, un mercato fortemente industrializzato e le vendite inferiori alla capacità installata sono, ahimè, la norma in questi ultimi anni, come lo furono nei lontani anni ’60 per il mercato delle fibre sintetiche. Allora, però, l’economia mondiale era in forte espansione, ed i primi rumors circa la possibile, timida apertura della Cina all’Occidente scatenò la corsa agli investimenti da parte dei colossi chimici, ognuno dei quali voleva essere pronto, prima e meglio degli altri, a vestire il miliardo, o giù di lì, di nuovi clienti. Ignoriamo pure il dettaglio di aver sottovalutato l’ipotesi – poi dimostrata vera –che i Cinesi avrebbero preferito investire in impianti di filatura che non comperare prodotto finito; la situazione si dimostrò presto drammatica: il mercato occidentale aveva installato almeno il 50% di capacità produttiva in eccesso rispetto al mercato, e la regola delle economie di scala scattò puntualmente, con un crollo verticale dei prezzi e dei margini. Il settore era però  molto concentrato, perché una manciata di colossi faceva il mercato in tutto il mondo, ed essi si dimostrarono aperti a soluzioni di compromesso onorevole, con cui mettere un argine a quella corsa verso il baratro: nel 1964 la risposta al problema prese corpo, allorché fu siglato l’accordo Multifibre, con cui regolare quantità, qualità e prezzo delle fibre sintetiche di utilizzo massivo. I tempi erano del tutto diversi da quelli attuali e la legislazione anti-trust si dimostrò meno efficiente di quanto non sarebbe oggi; fu così possibile autolimitare la produzione ad una percentuale comune a tutti della capacità installata da ogni produttore, così da far risalire e soprattutto consolidare il prezzo. Come abbiamo appena detto, i tempi erano molto diversi da oggi, ma il confronto potrebbe far sorgere spontanea una domanda: se gli operatori siderurgici di oggi – produttori, distributori o subfornitori che siano - accomunati da una crisi di mercato senza precedenti, riuscissero a trovare un accordo con cui dare chiarezza e stabilità al mercato, il precedente Multifibre potrebbe essere un riferimento?  significherebbe produrre tutti un po’ meno, ma molto meglio. Certo, i limiti legali ed i vincoli da superare sarebbero comunque tanti, e forse si dimostrerebbero insormontabili, ma prima di affrontarli potremmo chiederci se la strategia collusiva potrebbe essere una strada. Per verificarlo, è importante essere certi che le ipotesi accennate siano vere e che in esse si riconosca la siderurgia italiana; soprattutto occorre verificare le eccezioni più diffuse, la loro importanza nel condizionare lo scenario di riferimento; solo allora si potrebbe concludere se le esperienze storiche possono essere un buon punto di partenza per trovare soluzioni a momenti economici sempre più negativi e preoccupanti.

 

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