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Olimpiadi: fare o non fare

Non sono gli eventi ad essere cattivi, ma sono come gli uomini li disegnano

Si può vivere senza organizzare un grande evento sportivo, siano esse le Olimpiadi, la Coppa del Mondo di Rugby, o altro? Ecco un tema interessante di dibattito, completamente scavalcato dalle polemiche di queste settimane.

Cosa portano le Olimpiadi?
Tanto per cominciare, a un quesito come quello sopra, la risposta non può che essere affermativa: certamente si può fare a meno delle Olimpiadi, ci sono città (Oslo per quelle invernali del 2022, Amburgo, Boston e New York per quelle del 2024) che hanno rinunciato ai Giochi senza fare tanti drammi.
Nel contempo però bisognerebbe chiedersi anche cosa portano al Paese organizzatore questi grandi avvenimenti.
Debiti dice qualcuno, ignorando gli aspetti politici, sociali e culturali che possono essere innescati dall’ospitare una manifestazione di rilievo internazionale.
Lo sport, nel tempo, è diventato uno straordinario acceleratore economico, uno dei motori di quei “Grandi Eventi” con cui Berlusconi, a suo tempo, aveva cercato di accelerare iter e procedure, scavalcando veti e burocrazie varie. Guardarlo con sospetto, e anche con sufficienza, è legittimo ma non risolve il problema.

Come è andata altrove
Degli effetti sull’economia britannica dei Giochi di Londra (2012), considerati un modello per chi voglia cimentarsi nella materia, per esempio ancora si discute. World Economics nel 2015 ha scritto che a fronte di entrate complessive per circa tre miliardi di €, i costi erano stati vicini ai 18, con un saldo negativo, quindi, di circa 14 miliardi.
Tre anni fa, però, il report dell’UK Trade and Investment department (UKTI) aveva calcolato in oltre 11 miliardi di € l’impatto positivo dell’evento sull’economia britannica, due terzi dei quali frutto dell’attività di promozione collegata ai Giochi svolta da UKTI e dal ministero degli esteri.
Che le Olimpiadi, come tutti i grandi capitoli di spesa per infrastrutture e altro, portino con sé eccessi, errori e talvolta (ma non sempre) malaffare è cosa conclamata, come il fatto che uscendo d’inverno, se fa freddo, si può prendere il raffreddore e ammalarsi, qualche volta anche in modo grave. Per questo esistono la prevenzione e le cure e, a parte coloro che sono particolarmente debilitati (l’Italia lo è? Questo potrebbe essere un altro tema di discussione), nessuno passa chiuso in casa i mesi che vanno dall’autunno alla primavera.
Prendiamo per esempio il caso dello stadio Olimpico di Londra, teatro delle gare di atletica ai Giochi del 2012, di alcune partite del Mondiale di Rugby a ottobre 2015 e sede dei prossimi Mondiali di Atletica leggera (agosto 2017).
Lo stadio, per il quale sono state utilizzate circa 10.700 tonnellate di acciaio strutturale (per la ristrutturazione di quello di Wembley ne sono state usate 22 mila, ndr), doveva avere un costo iniziale di circa 320 milioni €, salito fino a 800 in corso d’opera. La spesa prevedeva anche il suo ridimensionamento, successivo ai Giochi, da ottanta e sessantamila posti.
L’impianto, dopo le Olimpiadi, è stato affittato per 99 anni al West Ham, squadra di calcio di Londra, che ha contribuito con circa 18 milioni di € alla sua realizzazione e paga un affitto di circa 2,8 milioni all’anno (277 in totale). La federazione inglese di atletica ha il diritto dell’utilizzo dello stadio durante i mesi estivi (e organizzerà i Mondiali di atletica del 2017) e l’operatore che gestisce lo Stade de France di Parigi ha l’appalto per i concerti e gli avvenimenti extra sportivi. Un esempio di gestione vantaggiosa per tutti, sebbene innescata da una lievitazione delle spese abnorme.
A Sydney il costo delle Olimpiadi del 2000 fu di circa 4 miliardi di €, con un deficit finale a carico della fiscalità pubblica di circa un miliardo, in uno stato, il New South Wales, il cui prodotto interno lordo è di circa 170 miliardi. In pratica il disavanzo negativo delle Olimpiadi fu pari al 20% dei costi ordinari di manutenzione annuale delle strade dello stato. In compenso in concomitanza con i Giochi, l’Australia realizzò nel mese di settembre del 2000 il più alto surplus commerciale della sua storia.

Fare o non fare?
Tutto ciò per dire citando Jessica Rabbit in un film di successo di qualche anno fa (Chi ha incastrato Roger Rabbit? del 1988) che non sono le Olimpiadi ad essere cattive, è come gli uomini le disegnano e le organizzano.
Tutto ciò premesso, se riteniamo che la metastasi sia tale che qualunque cosa si fa, nel nostro paese, finirà comunque male, allora le alternative sono solo due: la resa incondizionata e totale, non solo sul fronte olimpico, oppure la messa a punto di una cura forte e radicale che combatta il cancro, le sue cause e i suoi dolori. Di resa nessuno parla, anche se i romani la vivono sulla propria pelle tutti i giorni: di fatto c’è già. Di cura non si vede l’ombra, nonostante i Cantone, l’Agenzia anti corruzione etc.
Siamo un paese fermo. Lo dice anche il Coni: da noi il 42% (dato 2013, in crescita) della popolazione non pratica nessuno sport e nessuna attività fisica, oltre 24 milioni di sedentari totali. Però vogliamo crescere, possibilmente senza alzarci dal divano. Ecco il punto: fare o non fare?


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