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Ue – Cina: soft o hard power?

Dal Consiglio europeo emergeranno importanti indicazioni sul grado di difesa dell’industria dell’acciaio continentale

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L'appuntamento del Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre dovrebbe fornire indicazioni importanti su come l'Europa intende muoversi per la difesa della propria industria siderurgica. I fattori che influenzeranno le decisioni dell'Unione sono molteplici ed è bene metterli in fila per capire la delicatezza del momento politico.

La lettera aperta
Nelle scorse ore, 58 manager delle più importanti realtà siderurgiche del Vecchio Continente hanno inviato una lettera alla Commissione chiedendo una politica di difesa della produzione rispetto alle politiche sleali della Cina. L'urgenza di questo allarme è legata al fatto che dall'11 dicembre Pechino dovrebbe ricevere dal Wto lo status di economia di mercato e, a quel punto sarà, molto più difficile intraprendere politiche di difesa commerciale sui beni importati.

Europa senza Unione

Ma l'Europa, al suo interno, arriva a questo appuntamento spaccata: la Gran Bretagna (che recentemente ha affidato ad un fondo cinese la costruzione del nuovo reattore della centrale atomica di Hinkley di cui il fondo Cgn sarà per un terzo proprietario) e alcuni Paesi scandinavi hanno recentemente bloccato i progressi della Commissione per inserire nuovi strumenti antidumping sui beni cinesi. Dall'altra parte, il blocco composto da Francia, Germania, Italia e Polonia chiede invece nuovi passi avanti per tutelare il mercato dell'acciaio europeo, nella convinzione politica che la posizione di Londra, all'indomani della Brexit, si sia indebolita sensibilmente nei rapporti con Bruxelles e nella sua capacità di influenzare le decisioni della Commissione.

Le azioni della Commissione

Proprio quest'ultima, dieci giorni fa, ha introdotto nuove misure antidumping su due specifici prodotti - laminati a caldo e lamiere da treno -  che, secondo Bruxelles, sarebbero stati immessi sul mercato unico ad un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita sul mercato cinese, attuando politiche di dumping ritenute contrarie alla concorrenza leale. Se non altro un segnale che risponde ad una linea politica chiara proprio della Commissione, espressa lo scorso settembre dal Commissario agli Affari economici Pierre Moscovici che, nella sua relazione di fronte al Parlamento europeo sul G20 di Hangzhou, ha chiarito come Bruxelles si sia impegnata seriamente nella difesa delle produzione europee e dei lavoratori toccati direttamente dalla sovrapproduzione cinese.
Ora l'accordo trovato al vertice cinese è stato che, a fronte di un annuncio di Pechino di ridurre unilateralmente la produzione dell'acciaio, l'Ocse metterà in campo un team di valutazione.

Una questione di fiducia
Ma l'Europa ha tutto il diritto a non fidarsi e su questo è stato ancora più diretto Jean Claude Juncker nel suo discorso sullo Stato dell'Unione: «Non possiamo essere naïve sul libero mercato, dobbiamo essere in grado di mettere in campo misure antidumping analoghe a quelle degli Stati Uniti». Sulla guerra dell'acciaio si misura, quindi, la capacità dell'Europa di essere in grado di cambiare la azione da quella abituale di soft power a quella più decisa di hard power, perché, come ha ricordato sempre Juncker, «Usare il soft power non significa essere stupidi». E allora, benché oggi siano operative ben 39 misure anti-dumping per tutelare l'industria dell'acciaio europeo, ora serve un ulteriore passo in avanti, un'azione complessiva come chiedono nella loro lettera i 58 manager della siderurgia del Vecchio Continente che porti alla costituzione di strumenti più efficaci di quelli attualmente in campo. Si tratta, di fatto, di misure non standard, simili a quelle americane con un regolamento antidumping europeo rivisto che includa i cinque criteri di economia di mercato dell'Ue, con l'onere della prova nei casi di dumping a carico degli esportatori verso l'Ue. Una sfida tutta da giocare.

 


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