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La crescita è una priorità globale

Gli incentivi pubblici per il rilancio degli investimenti per la crescita e la creazione di posti di lavoro

Nel testo finale del G7, svoltosi alcuni giorni fa a Ise Shima in Giappone, si legge che la crescita globale è una «priorità urgente». Scrivono i leader: «Ribadiamo il nostro impegno ad utilizzare tutti gli strumenti di politica monetaria, fiscale e strutturale, individualmente e collettivamente, per rafforzare la domanda globale» e, allo stesso tempo, «mantenere il debito a livelli sostenibili» in modo da raggiungere «una crescita forte ed equilibrata». «Ambiente, energia, sviluppo delle risorse umane, tecnologia ed economia digitale sono», si legge nel documento, «i settori nei quali è necessario intervenire con più urgenza».

Dal comunicato finale dell’incontro emerge quindi che la sola politica la monetaria non è sufficiente a rilanciare l’economia mondiale; bisogna mettere in campo anche gli investimenti, prioritariamente nei settori ivi indicati. D’altra parte, gli investimenti sono la variabile cruciale in tutti i modelli di crescita, siano essi per accrescere la capacità produttiva, sia per infondere il progresso tecnologico nel sistema produttivo, sia per aumentare le conoscenze (investimenti in capitale umano).

Ragionando sulle cause della grande crisi del 1929-30, Keynes aveva avvertito che è difficile cogliere le determinanti delle decisioni di investimento in quanto legate alle previsioni soggettive degli imprenditori. Aveva riconosciuto l’influenza su tali decisioni del costo del capitale, ma aveva anche ammonito che la manovra del tasso di interesse può essere insufficiente a stimolare la ripresa degli investimenti se le aspettative degli investitori rimangono negative. La crisi del 2008-09, che ha colpito più duramente i paesi industrializzati, ha riportato all’attualità il pensiero keynesiano secondo cui i governi che intendono promuovere la spesa per investimenti trovano difficoltà a reperire altri strumenti di intervento per promuoverli, oltre a quello della riduzione dei tassi di interesse. Come è noto, Keynes suggeriva che, sia per rimettere in moto il meccanismo spesa-produzione-reddito, sia per rendere più favorevoli le aspettative degli investitori, i governi devono realizzare programmi di investimenti pubblici diretti o anche sostenere i livelli dei consumi delle famiglie.

Per molti stati, tuttavia, nelle condizioni odierne della finanza pubblica tendente allo squilibrio a causa di fattori strutturali di lievitazione di spese aventi finalità redistributive, la ricetta keynesiana degli investimenti pubblici e del sostegno pubblico ai consumi ha qualche problema ad essere applicata per motivi di equilibrio monetario e finanziario del sistema. Inoltre, l’esperienza indica che i meccanismi di decisione politica rendono difficile ridurre molte categorie di spesa pubblica (trasferimenti alle famiglie ed anche alle imprese, retribuzioni dei dipendenti, ecc.) quando la ripresa economica fosse avviata. Né si può trascurare che negli ultimi decenni l’ideologia economica dominante (il neoliberismo) ha giudicano con sfavore l’ampliamento dell’intervento pubblico nell’economia ed ha puntato invece alla liberalizzazione di mercati privati che, attraverso una più efficiente (o presunta tale) allocazione delle risorse, avrebbe dovuto favorire un più alto tasso di crescita economica.

Si deve naturalmente aggiungere che, mentre ai tempi in cui scriveva Keynes il modello dell’economia sostanzialmente chiusa poteva essere una rappresentazione adeguata della realtà, oggi invece nel modello dell’economia globale non è sufficiente la ripresa della domanda interna a determinare un aumento della produzione e del reddito nello stesso Paese, se i differenziali dei costi di produzione rendono più conveniente la produzione in altri Paesi. In tale quadro, l’individuazione di strumenti pubblici appropriati di incentivazione degli investimenti in un Paese appare obiettivamente difficile e pertanto richiede una riconsiderazione delle variabili decisionali degli investimenti su cui gli strumenti dell’intervento pubblico possono influire.

D’altra parte, nella realtà operativa degli imprenditori privati, e soprattutto delle piccole e medie imprese, è frequente l’utilizzo di schemi di valutazione degli investimenti strutturalmente semplici, formalmente anche rozzi, che assumono pochi essenziali punti di riferimento e si servono di informazioni che gli imprenditori ritengono di padroneggiare e di poter utilizzare in misura adeguata. Normalmente, l’intuizione degli imprenditori concerne la probabilità (valutata soggettivamente) di conseguire da una data iniziativa e su un dato arco temporale un flusso di ricavi che, sottratti i costi di produzione diretti e indiretti, gli ammortamenti in funzione del periodo di recupero desiderato degli investimenti e tutte le imposte e tasse afferenti, realizzano rendimenti sul capitale investito giudicati tali da coprire il rendimento normale sul capitale e da compensare il rischio.

Per poter individuare le opportunità di interventi pubblici che incentivino le decisioni di investimento, è quindi imprescindibile una riflessione sulle variabili decisionali generalmente considerate dagli imprenditori. Qui ne vengono considerate tre: le prospettive di ricavo, l’incentivazione all’innovazione, le prospettive di riduzione dei costi.

Le prospettive di ricavo

Nei termini consueti dell’economia keynesiana, le opportunità di accrescere le vendite nei mercati, così da giustificare nuovi investimenti, dipendono sotto il profilo macroeconomico dall’andamento previsto della domanda, che è regolabile dai governi con i noti strumenti della politica macroeconomica (politica fiscale e della spesa pubblica). Le informazioni sugli andamenti dei singoli settori produttivi e sulle loro interdipendenze consentono di calibrare gli interventi seguendo un approccio disaggregato e intersettoriale.

Come accennato in precedenza, le odierne difficoltà, soprattutto per i paesi industrializzati, sorgono dal fatto che un aumento della domanda interna, indotto dalla politica fiscale e rivolto a tutti o ad alcuni settori produttivi, può rivelarsi largamente inefficace a stimolare gli investimenti interni, se nelle previsioni degli imprenditori tali aumenti della domanda interna dovessero essere ampiamente soddisfatti da produttori localizzati in altri Paesi. Rispetto a tale situazione, nuova nei confronti di quella osservata da Keynes, quali strumenti di intervento pubblico a un Paese industrializzato restano disponibili per migliorare le prospettive delle imprese di conseguire adeguati ricavi da nuovi investimenti?

Le risposte che usualmente si riscontrano nei dibattiti in materia riguardano l’altezza dei costi di produzione nei paesi industrializzati rispetto a quelli dei paesi emergenti. Questo aspetto verrà affrontato più avanti in modo dettagliato. Ma c’è uno spazio significativo di intervento anche relativo ai ricavi attesi dell’imprenditore, che (in particolare per quanto riguarda i paesi UE) sono i ricavi netti da IVA e da altre imposte sui consumi. Le imposte sui consumi finali, infatti, introducono un cuneo fiscale tra prezzi pagati dai consumatori nazionali e ricavi netti incassati dagli imprenditori. Vero è che una riduzione dell’IVA e di altre imposte sui consumi finali ridurrebbero tale cuneo fiscale non solo in vantaggio dei produttori nazionali ma anche dei produttori esteri esportatori nel Paese i riferimento, poiché l’IVA e le altre accise si applicano anche alle importazioni. Tuttavia, si può supporre che i consumatori, ad un livello più elevato del loro potere reale di acquisto, nella loro valutazione del rapporto qualità/prezzo diano maggiore peso al fattore qualità, che si tende a presumere sia superiore per i prodotti nazionali del Paese a più lunga trazione industriale. La manovra di riduzione delle imposte sui consumi finali potrebbe perciò favorire le scelte dei consumatori verso i prodotti nazionali e quindi stimolare gli investimenti interni. Le strade teoricamente aperte per una manovra di riduzione dell’IVA sono: l’aumento di altre imposte; la riduzione di alcune voci della spesa pubblica; l’ampliamento del disavanzo pubblico. Poiché tale questione riguarda qualsiasi proposta di incentivazione pubblica degli investimenti che comporti (almeno nel breve periodo, finchè non si è avviata la ripresa economica) la riduzione del prelievo fiscale o parafiscale e/o l’aumento della spesa pubblica, essa verrà ripresa e discussa più avanti.

(1 - segue)


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