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Cina: se la storia non insegna ... i disastri si ripetono. Effetti e ripercussioni dello sgonfiamento della bolla azionaria

Per avere un'idea di come le notizie provenienti dalla Cina non siano un fulmine a ciel sereno, ma l'effetto del traumatico sgonfiamento di una vera e propria bolla speculativa cresciuta a dismisura negli ultimi due anni, si osservi la figura al termine del paragrafo, che mette a confronto gli andamenti delle medie settimanali dell'indice MSCI World, che sintetizza l'andamento delle borse mondiali (curva nera riferita alla scala di destra) - e dell'indice Composite della borsa di Shanghai (curva rossa riferita alla scala di sinistra).
Vediamo in dettaglio ciò che è accaduto. La più importante delle borse cinesi raggiunge il suo massimo storico nel 2007 insieme alla maggior parte dei mercati mondiali. Segue il tracollo borsistico generato dalla grande crisi finanziaria con la borsa cinese che, dopo aver toccato il fondo, anticipa il recupero dei listini. A partire dal 2011 le strade si dividono: mentre il complesso dei mercati procede in un'equilibrata ripresa, che nella seconda metà del 2013 giunge a valicare i picchi del 2007, la borsa cinese resta a lungo depressa,  forse fin troppo, seguendo un percorso ribassista culminato nel mese di giugno 2013. Da allora tutto cambia di nuovo: mentre la marcia rialzista dei listini trainata da Wall Street entra in affanno, l'indice di Shanghai s'impenna, fissando una performance del 161% in due anni giusti. Neanche il tempo di tirare il fiato ed ecco il drastico ridimensionamento: in meno di un mese la borsa cinese perde il 28,7%. 

 

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UNA QUESTIONE MOLTO CINESE

Fortunatamente la borsa di Shanghai è ancora piuttosto autarchica: solo di recente, infatti, sono stati ammessi gli investitori esteri, garantendo ad essi la possibilità di operare in valuta nazionale. Ma restano comunque articolati controlli sull'operatività degli stranieri nei mercati azionari cinesi. Circostanza che ne ha fortemente limitato il numero. Questo è il motivo per cui lo scivolone cinese non si è ripercosso granché sui mercati europei, alle prese piuttosto con la crisi greca, e su quelli americani. Per il momento si tratta dunque di una questione tutta cinese, con ricadute significative solo sui mercati asiatici: Tokyo, Hong Kong, Singapore.

Del resto si tratta di un film già visto: i rialzi dell'indice generale cinese sono infatti spiegati soprattutto dai balzi dell'indice ChiNext, che sintetizza le dinamiche delle società tecnologiche cinesi. Un po' come successe nel 1999 con l'indice Nasdaq statunitense che originò quella che viene ricordata come bolla della new economy: un esagerato entusiasmo per i titoli delle cosiddette dotcom, che molti sprovveduti acquistarono a prezzi folli, senza alcun aggancio ai rispettivi fair-value. Così a Shanghai: prima l'euforia irrazionale alimentata da un'ampia disponibilità di credito incoraggiata dalle autorità centrali; poi, quando si è diffusa la sensazione che i prezzi non fossero per nulla giustificati dal vero potenziale e dalle prospettive aziendali sottostanti i titoli, ecco il panico e le vendite generalizzate.

Occorre considerare che gli sprovveduti coinvolti nel tracollo borsistico cinese sono circa 90 milioni, la maggior parte dei quali si è persino indebitata per poter acquistare azioni. Ciò spiega l'irrituale  intervento delle autorità cinesi per sostenere i mercati, sospendendo le quotazioni oppure ordinando alle compagnie statali di comprare azioni oppure, ancora, disponendo ampi flussi di liquidità attraverso la banca centrale. Cose che possono accadere solo in Cina, insomma, che ha come primario interesse quello di evitare che una perdita di oltre tremila miliardi di dollari (dieci volte il debito greco!) inneschi la tanto temuta instabilità sociale. Proprio questi interventi hanno favorito le diffuse reazioni sui mercati cinesi a cui stiamo assistendo, ma sarà molto difficile sostenere a oltranza queste borse.

EFFETTI E CONTAGI

A questo punto c'è da chiedersi se cali di questa entità possano influire sui consumi interni e, conseguentemente, sulla tenuta della crescita economica cinese. Se è vero che il Dragone può contare su smisurate riserve valutarie in grado di alimentare la liquidità  necessaria a sostenere le borse e a lenire temporaneamente le sofferenze, è altrettanto vero che l'economia cinese è in crescita frenata e che le vicende borsistiche di queste settimane potrebbero ulteriormente rallentarla.

In effetti, se si osserva la figura al termine del paragrafo, si nota come le ricadute borsistiche potrebbero insistere su una situazione già piuttosto compromessa. La figura, infatti, illustra l'andamento medio settimanale del minerale di ferro (curva marrone riferita alla scala di sinistra) e dell'indice che sintetizza la dinamica dei prezzi dei metalli non ferrosi quotati al London Metal Exchange (curva nera riferita alla scala di destra), cioè due importanti barometri del reale andamento di una grande economia industriale, com'è appunto quella cinese. Si noti come il minerale di ferro, dopo aver tentato una reazione al crollo del 75% dal 2011, si sia nuovamente volto al ribasso. Il complesso dei metalli industriali cede invece mediamente il 40%, con cali che vanno, nello stesso periodo, dal 18% dello Zinco al 60% del Nickel. E la caduta sta continuando.

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Considerando che i mercati delle materie prime si sono progressivamente de-finanziarizzati e che il colosso asiatico è il maggior importatore mondiale di materie prime, e dei metalli in particolare, non si può non notare come entrambe le curve della figura evidenzino un chiaro segnale di debolezza strutturale. In conclusione, possiamo dunque affermare che, mentre sul piano prettamente finanziario il fenomeno borsistico è da considerare contenuto al perimetro asiatico, sul versante reale la domanda cinese è in chiara contrazione, anche considerando i surplus d'offerta mineraria consolidatisi in questi ultimi anni. E' dunque questo il vero segnale inquietante, che lo sgonfiamento della bolla speculativa potrebbe solo esacerbare, ma non più di tanto.


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