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Il minieuro e le opportunità da cogliere prima che il vento cambi

 di Achille Fornasini

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Vincendo le resistenze teutoniche, ma comunque in grave ritardo rispetto alla Federal Reserve e alla Bank of Japan, che avevano già da tempo intrapreso analoghi provvedimenti, anche la Banca Centrale Europea ha finalmente varato quella manovra monetaria espansiva che nell'auspicio di tutti dovrebbe innescare stimoli positivi nell'estenuante stagnazione economica dell'Eurozona.
Quella che Mario Draghi ha definito un "bazooka", ovvero un'arma potente contro i pericoli della deflazione e della mancata crescita, è un processo attraverso il quale la Bce si impegna ad acquistare bond pubblici e privati, stampando di fatto moneta al ritmo di 60 miliardi di euro al mese fino al 2016. Con l'aumento della quantità di euro in circolazione, ma in questi ultimi nove mesi è bastata la semplice attesa che ciò potesse accadere, l'euro ha iniziato a indebolirsi sia contro dollaro, sia contro tutte le altre valute agganciate al biglietto verde.
Niente di nuovo: solo gli effetti della legge della domanda e dell'offerta, che hanno spinto la moneta unica intorno a quota 1,05, cioè a livelli che non si vedevano dalla primavera del 2003. Più in particolare, dal mese di maggio 2014, cioè da quando hanno iniziato a maturare le attese di un Quantitative Easing europeo, la moneta unica ha perso il 24,3% del suo valore rispetto alla divisa Usa. E' solo nella seconda metà del mese di marzo 2015 che prendono corpo una frenata e una successiva reazione, provocate peraltro da prese di profitto legate a operazioni speculative di breve periodo.
Ciò che impressiona, come si evince osservando la figura dedicata all'evoluzione delle medie settimanali del cambio sin dalla sua origine, è la rapidità del deprezzamento della nostra valuta, il cui rapporto con il dollaro è precipitato in pochi mesi ben al di sotto della media storica (1,2120) e della parità teorica originaria (1,16675).
Lo scivolone della divisa europea è motivato anche da altri fattori. Sul piano fondamentale, infatti, va rilevato che negli Stati Uniti, a differenza dell'Europa, l'economia è in solida crescita da almeno un semestre. Al punto che la Fed potrebbe decidere, per la prima volta dal mese di dicembre 2008, di alzare i tassi per avviare quel drenaggio di liquidità da molti invocato per evitare nuovi eccessi sui mercati finanziari e mobiliari. Con il rialzo dei tassi ufficiali Usa i rendimenti dei Treasury statunitensi si adeguerebbero, motivando gli investitori a incrementare gli acquisti di bond espressi in dollari. Con la conseguenza che il raggiungimento della parità tra le due monete sarebbe il prossimo obiettivo minimo.
Se da un lato contribuisce alla crescente competitività dei flussi export europei, il minieuro rischia di indurre un progressivo afflusso di liquidità verso titoli espressi in dollari, innescando quell'alta volatilità valutaria, accentuata dalla maggiore attività speculativa di breve e di brevissimo termine, che non giova certo alla stabilità e alla programmazione delle attività industriali e commerciali delle imprese europee. Ma c'è un'altra incognita da tener presente: dopo aver mantenuto lo yuan agganciato alla rivalutazione del dollaro nei riguardi di euro e yen, la Cina potrebbe impiegare parte delle proprie smisurate riserve valutarie per impedire che i rapporti di cambio ostacolino in modo severo la competitività delle esportazioni cinesi. Gli effetti di un tale intervento sarebbero globalmente squassanti.
Nondimeno, pur tenendo conto di questi timori, non sono da sottacere gli aspetti più confortanti dell'attuale contesto: in primis la massa di liquidità generata dalla Bce che, unitamente al bassissimo livello dei tassi, dovrebbe facilitare l'accesso al credito da parte delle imprese. Di non minore importanza è la profonda depressione dei prezzi delle materie prime quotate in dollari: l'ormai conclamato surplus d'offerta, infatti, ha spinto il Bloomberg Commodity Index ai minimi del 2009, zavorrato dalle quotazioni del petrolio e delle commodity energetiche, ma anche dai prezzi dei materiali basici della siderurgia e della metallurgia. Lo spauracchio delle spinte inflattive, e con esso l'eventualità di un irrigidimento delle politiche monetarie, non sembra insomma dietro l'angolo. Si creano così le condizioni per una fase congiunturale oggettivamente straordinaria, tutta da valorizzare sia a livello macroeconomico, sia a livello di ogni singola azienda. Prima che il vento cambi. 


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