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Steno Marcegaglia: «l’esistenza imprenditoriale»

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Una fotografia in cui ogni dettaglio è interamente a fuoco, in cui tutto si sposa con tutto, in cui l’armonia e la coerenza legano ogni parola. Ogni termine è dettaglio nell’opera di Elena Luberto dedicata alla figura di Steno Marcegaglia. A partire dal titolo: «Il signore dell’acciaio. L’avventura umana e imprenditoriale di Steno Marcegaglia». Signore come protagonista, figura di grande spicco. Ma anche signore d’animo. Signore nell’animo. E ancora: un’avventura umana. Si tratta di un’espressione che può essere assimilata al concetto di vita, di biografia. Ma sono due parole che raccontano anche, e soprattutto, qualcosa in più. Esattamente come l’esistenza di Steno Marcegaglia ha rappresentato qualcosa in più: una sfida, una crescita, un obiettivo, un’ambizione immensa. Vita personale o vita imprenditoriale: nel caso di Steno Marcegaglia, la distinzione non è facile. Così come non è facile capire in quale direzione queste due sfere si siano amalgamate. Nessuna delle due, infatti, è riuscita ad avere il sopravvento sull’altra. Il personale e l’imprenditoriale si sono evoluti insieme, tenendosi idealmente per mano, vivendo l’uno alla luce dell’altro. Quando il libro di Elena Luberto è arrivato nelle librerie, il Cavaliere aveva 79 anni. Il primo capitolo è quello del buio, del terrore, dell’incerto, della malinconia, dell’assenza. Era, infatti, il 1982 quando Steno Marcegaglia, per 51 giorni, fu rapito in un luogo senza mappa tra le aspre rocce dell’Aspromonte. Anche in quell’incubo, il Cavaliere riuscì a mostrare il suo carisma: ascoltando – i suoi rapitori – e facendosi ascoltare. Parlando, incantando con la sua capacità di parlare, di colpire. Riuscì anche a conquistare la fiducia dei più giovani aguzzini. Forse una delle imprese più grandi di un uomo che fu capace di compierne molte, nella sua vita. Leggendo quelle pagine, intrise di successi, di sfide imprenditoriali, fondate sull’ascesa imprenditoriale di un uomo capace di raggiungere la vetta, senza mai dimenticare le proprie origini così avverse, così lontane dal punto di arrivo che prima fu immaginato, ma poi fu realizzato. In quelle righe, però, è il concetto di famiglia - tanto in senso primo, quanto nella sua accezione più estesa - a rendere la sua vita industriale, un’esistenza imprenditoriale. Da quell’affetto per un padre costretto ad emigrare per un lavoro a quello per una madre per la quale il figlio aveva anche coniato un termine per definirne l’amore immenso che nutriva verso di lei. «Ero immamato», riferiva Steno Marcegaglia, all’interno delle pagine del libro. Antonio e Emma, questi i nomi dei genitori. Gli stessi dei due figli, da sempre e per sempre, cresciuti, proprio come il padre, nell’amore, nello stimolo, nella vicinanza della famiglia. E poi la moglie, Mira, capace con il Cavaliere, di creare una sinergia totale, fatta, ancora una volta, di famiglia, di ambizione, di impresa, di vita. La sua «famiglia», però, è sempre stata molto più numerosa. Definito «imprenditore etico» dall’autrice del libro, Steno Marcegaglia credeva nell’importanza di mettere al centro dell’azienda il lavoratore, il quale, a sua volta, ha una famiglia che dal suo lavoro dipende. Il suo passato a difendere i contadini e i braccianti ha formato un’identità precisa nell’idea di industriale che Steno Marcegaglia avrebbe voluto diventare: un’immagine che ha mantenuto fino all’ultimo dei suoi giorni. Trascorsi nella sua azienda, con la sua famiglia, così numerosa e così importante.

 

 


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