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Volkswagen: Quam Cito Transit Gloria Mundi

 di Achille Fornasini

 

Riflettendo sullo scandalo Volkswagen vien proprio da pensare Quam cito transit gloria mundi: quanto rapidamente passa la gloria in questo mondo! Era il febbraio scorso, sembra passato un secolo, quando l'istituto di ricerca Media Tenor International attribuiva alla casa di Wolfsburg il prestigioso Dax30 Reputation Award, che annualmente premia l'azienda quotata con la migliore immagine sui media. Con il senno di poi ciò che fa sorridere sono le parole di Roland Schatz, fondatore di Media Tenor, dedicate al vincitore: «Oggigiorno le aziende sono impegnate a ottenere i più alti standard ambientali, sociali e di governance e devono comunicare questa dedizione in modo credibile. E ciò è già diventato parte del Dna Volkswagen». Al prestigioso risultato hanno contribuito anche le risultanze degli studi condotti da InnoVatio Publishing, casa editrice elvetica di proprietà della stessa Media Tenor, il cui presidente Francis Quinn aggiungeva: «Per le aziende sta diventando sempre più importante definire chiaramente cosa intendano per responsabilità sociale e come questa influenzi la crescita del business».
A soli sette mesi da quel premio e da quelle roboanti e inconsapevoli motivazioni, precisamente venerdì 18 settembre 2015, la statunitense Environmental Protection Agency (EPA) comunicava ufficialmente che la casa automobilistica tedesca aveva illegalmente installato sulle auto diesel un software finalizzato ad aggirare le normative ambientali sull'inquinamento. Le implicite conseguenze di quella dichiarazione si sono immediatamente abbattute sui mercati azionari: in primo luogo su Francoforte, ma anche su altre importanti piazze europee. Il gruppo Volkswagen, pesante il 4,8% nel paniere Dax della borsa tedesca, è infatti un conglomerato che, oltre al marchio fondatore, comprende Audi, Lamborghini, Ducati, Bentley, Porsche, SEAT, Skoda, Scania e MAN. Si tratta dunque di un complesso societario di enorme rilevanza a cui si riferiscono centinaia di aziende fornitrici e subfornitrici, molte delle quali eccellenze italiane (e bresciane).
Nello spazio di dieci giorni esatti dallo scoppio di quello che è stato chiamato Dieselgate, il titolo Volkswagen è letteralmente crollato sulla scia della diffusa convinzione che lo scandalo avrebbe riguardato non solo il mercato americano, ma il mondo intero. Con una performance di -40,8% (che porta al 61% la perdita dai massimi di aprile) l'azione VW ha trascinato al ribasso sia l'intero listino casalingo (Dax -7,3%), sia la media europea (Eurostoxx -4,5%). Un influsso negativo che si è esteso rapidamente ad altri Paesi: limitandoci all'Italia e alla Francia si segnalano, per esempio, nello stesso fatidico periodo, il -15,8% di FCA, il -19,5% di Renault e il -22,8% di Peugeot. Un ribasso generalizzato, dunque, del tutto avulso dalle cause originarie.
È soprattutto l'incertezza a minare la fiducia degli investitori: alla sorpresa iniziale, infatti, sono subentrati i timori legati sia al possibile coinvolgimento di altre case produttrici, sia all'eventualità di una class action su scala planetaria dalle conseguenze finanziarie imprevedibili. Lo scandalo coinvolge infatti, per il momento, oltre 11 milioni di vetture e mezzi diesel del gruppo tedesco ed è oggettivamente molto difficile quantificare con precisione i futuri impegni economici dell'azienda e le loro ricadute sull'intero comparto auto e sulle filiere produttive di tutta Europa.
Gli ottimisti iniziano peraltro a non escludere, sottotraccia, che possa avviarsi un lento processo di sostituzione non solo dei motori diesel con quelli a benzina, sempre più efficienti, ma anche con modelli ibridi e a combustibili alternativi, che potrebbero rappresentare l'opzione vincente per riconquistare i bassi consumi tipici del diesel. Ciò implicherebbe dunque, superati gli inevitabili sbandamenti iniziali, la sostanziale tenuta delle quote di produzione. L'importante è che tenga la fiducia dei consumatori dell'Eurozona e la loro propensione ad investire in beni durevoli. Se così fosse il Dieselgate potrebbe addirittura essere ricordato, nel medio periodo, come un momento di discontinuità a tutto vantaggio dell'innovazione e della sostenibilità ambientale.
Quel che dovrebbe preoccupare maggiormente è invece lo scenario globale, che sta cambiando in peggio. Mentre dalla Cina arriva la notizia di profitti industriali in forte calo a conferma del rallentamento del ciclo economico in atto da almeno un anno, si registrano le gravi difficoltà del settore minerario dei Paesi avanzati ed emergenti, pesantemente colpiti dal calo dei prezzi delle materie prime. Non è dunque un caso che Christine Lagarde, al vertice del Fondo Monetario Internazionale, annunci una limatura al ribasso delle stime di crescita mondiale, ora ferme al +3,3%. E se si tiene conto che in tale prossima revisione non saranno inclusi gli effetti del Dieselgate, è presumibile che a fine anno il Fondo possa ipotizzare una crescita inferiore al 3%. Il che non sarebbe una bella notizia. Anche se nel frattempo il settore auto avesse ritrovato un nuovo equilibrio.


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